Questo approfondito riassunto del manuale dell'esame di Biologia molecolare tratta i principali temi della materia in modo esaustivo: dalla storia delle scoperte sul Dna, alla composizione dell'Acido Desossiribonucleico, ai meccanismi di riproduzione. Le funzioni dell'RNA vengono trattate approfonditamente e spiegati le principali modalità di trasmissione genetica.
Biologia molecolare
di Domenico Azarnia Tehran
Questo approfondito riassunto del manuale dell'esame di Biologia molecolare
tratta i principali temi della materia in modo esaustivo: dalla storia delle
scoperte sul Dna, alla composizione dell'Acido Desossiribonucleico, ai
meccanismi di riproduzione. Le funzioni dell'RNA vengono trattate
approfonditamente e spiegati le principali modalità di trasmissione genetica.
Università: Università degli Studi di Roma La Sapienza
Facoltà: Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali
Corso: Scienze Biologiche
Esame: Biologia molecolare
Titolo del libro: Il Gene VIII
Autore del libro: Benjamin Lewin
Editore: Zanichelli
Anno pubblicazione: 20071. La visione mendeliana del mondo
La teoria dell'evoluzione è una delle scoperte scientifiche che hanno influito più profondamente sulla cultura
moderna e sulla concezione dell'uomo contemporaneo. Questa fu concepita e messa a punto da Charles
Darwin nel corso del 1800. Fino ad allora tutte le costruzioni filosofiche e religiose avevano considerato le
forme di vita costanti e immutabili, con l'unica eccezione della specie umana, che era qualcosa di speciale,
nettamente superiore a qualsiasi altra specie. Grazie, comunque, a Darwin e successivamente a Mendel si
scoprì qualcosa di più sui geni e queste teorie furono scartate con l'avvenire della biologia molecolare. Nella
seconda metà del 1700 scienze nascenti, come la geologia, avevano appunto rilevato strati geologici
formatosi in tempi successivi in cui si trovavano specie antiche con caratteristiche comuni a quelle attuali,
quindi si cominciò a pensare, come fece Jean-Baptiste de Lamarck all'evoluzionismo, secondo il quale
caratteri acquisiti durante la vita dell'individuo possono essere trasmessi ai discendenti (eredità dei caratteri
acquisiti). Secondo Darwin, invece, si ha dapprima lo sviluppo di un abbondante varietà di individui con
caratteristiche diverse, che vengono selezionate tramite il criterio della sopravvivenza del più adatto, o
selezione naturale. Successivamente questi caratteri vengono trasmessi alla progenie nel corso del tempo.
Dopo iniziali polemiche la teoria dell'evoluzionismo fu scartata dal mondo scientifico e fu accettata la
selezione naturale di Darwin. Inoltre, ci si rese conto che la vita doveva essere apparsa sulla Terra circa 4
miliardi di anni fa ma ancora non si conosceva la materia del materiale ereditario. In questo periodo inoltre,
un altra importante scoperta, che diede lancio alla biologia molecolare fu la teoria cellulare di Schleiden-
Schwann che scoprirono le cellule, l'unità fondamentale della vita.
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Biologia molecolare 2. La genetica della trasmissione
Mendel vide che un gene può esistere in differenti forme chiamate alleli. Per esempio, il pisello può avere
semi gialli oppure verdi. Un allele di un gene responsabile per il colore del seme conferirà ai semi il colore
giallo, l'altro allele il colore verde. Inoltre un allele può essere dominante rispetto all'altro, che quindi
risulterà essere recessivo (bisogna ricordare che non sempre avviene questo in quanto può esistere
codominanza, con la comparsa di un colore intermedio). Mendel poté dimostrare che l'allele per i semi gialli
era dominante dopo aver incrociato due piante di pisello, una con semi di colore verde e l'altra con semi di
colore giallo. Tutta la progenie della prima generazione (F1) mostrava semi di colore giallo. Tuttavia,
incrociando tra loro gli individui della generazione F1 (semi gialli), Mendel osservò la ricomparsa di semi di
colore verde. Il rapporto tra semi di colore giallo e di colore verde nella seconda generazione filiale (F2) era
di 3:1. Mendel concluse che l'allele per il colore verde dei semi doveva essere mantenuto nella generazione
F1, pur non influendo sul colore dei semi di queste piante. La sua spiegazione fu che ogni pianta parentale
porta due copie del gene; in sostanza i genitori esano diploidi per i caratteri che stava studiando. Secondo
questa teoria, gli individui omozigoti presentano due copie dello stesso allele: o due alleli per i semi gialli o
due per i semi verdi. Gli individui eterozigoti, invece, presentano una sola copia per ogni allele. I due
genitori nel primo incrocio erano omozigoti e la progenie risultante F1 era eterozigote. Quindi Mendel
concluse che le cellule sessuali contengono una sola copia del gene, cioè sono aploidi. Di conseguenza, gli
omozigoti possono produrre cellule sessuali o gameti, che hanno un solo allele, ma gli eterozigoti possono
produrre gameti aventi uno o l'altro dei due alleli. Mendel, inoltre, scoprì che i geni per i sette diversi
caratteri che scelse di studiare, operano indipendentemente l'uno sull'altro. Così le combinazioni tra alleli di
due diversi geni (piselli gialli o verdi con semi lisci o rugosi, dove giallo e liscio sono caratteri dominanti,
rispetto a verde e rugoso che sono recessivi) diedero i rapporti 9:3:3:1 per le combinazioni giallo/liscio,
giallo/rugoso, verde/liscio e verde/rugoso rispettivamente. Da questi esperimenti si possono enunciare tre
leggi:
1.Legge della dominanza: gli individui nati dall'incrocio di due individui omozigoti, che differiscono per una
coppia allelica, avranno il fenotipo dato dall'allele dominante;
2.Legge della segregazione: gli alleli di un singolo locus segregano indipendentemente l'uno dall'altro
(ricomparsa del recessivo nella F1);
3.Legge dell'assortimento indipendente: i diversi alleli si trasmettono indipendentemente l'uno dagli altri,
secondo precise combinazioni.
L'ereditarietà che segue le semplici leggi che Mendel ha scoperto viene comunemente definita ereditarietà
Mendeliana.
Il lavoro di Mendel fu trascurato quasi 40 anni e furono riscoperte solo quando tre scienziati, Vries, Correns
e Von Tschermak arrivarono con esperimenti diversi alle stesse considerazioni che fece Mendel. Comunque,
l'idea che i cromosomi siano a portare i geni fu approfondita da Sutton, Boveri e Morgan ed è nota come
teoria cromosomica dell'ereditarietà. Questo presenta un momento cruciale per lo sviluppo genetico. I geni
non erano più fattori svincolati, ma erano diventati oggetti osservabili nel nucleo della cellula. Alcuni
genetisti, e in particolare, come dicevamo prima, Thomas Hunt Morgan, rimasero scettici riguardo a questa
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Biologia molecolare idea. L'ironia della sorte stabilì proprio che fosse lo stesso Morgan nel 1910 a fornire la prima definitiva
prova a supporto della teoria cromosomica. Morgan lavorava con il moscerino della frutta (Drosophila
melanogaster) che era, sotto molti aspetti, un organismo molto più comodo da utilizzare per studi genetici in
confronto alla pianta di pisello, grazie alle sue ridotte dimensioni, al breve tempo di riproduzione e
all'elevato numero di figli nella progenie. Quando Morgan incrociò moscerini con occhi rossi (carattere
dominante) con moscerini con occhi bianchi (carattere recessivo), la maggior parte degli individui della
progenie F1, ma non la totalità di essi, aveva gli occhi rossi. Inoltre, quando Morgan incrociò i maschi con
gli occhi rossi della generazione F1 e le loro sorelle sempre con gli occhi rossi, un quarto della progenie era
rappresentato da maschi con gli occhi bianchi, ma non c'era nemmeno una femmina con gli occhi bianchi. In
altre parole il fenotipo del colore degli occhi era legato al sesso e veniva trasmesso, in questi esperimenti,
seguendo la trasmissione del sesso. Noi oggi sappiamo che il sesso e il colore degli occhi vengono trasmessi
insieme perché i geni che controllano queste caratteristiche sono localizzati sullo stesso cromosoma, il
cromosoma X. Comunque, Morgan fu riluttante nel trarre le sue conclusioni fino a quando, nel 1910, non
osservò lo stesso comportamento legato al sesso per altri due fenotipo, ali ridotte e corpo giallo. È facile
comprendere che geni localizzati su cromosomi separati si comportino indipendentemente negli esperimenti
genetici e che geni localizzati sullo stesso cromosoma, come il gene responsabile del fenotipo ali ridotte
(miniature) e quello responsabile del fenotipo occhi bianchi (white), si comportino come se fossero legati.
Comunque, solitamente i geni localizzati sullo stesso cromosoma non mostrano una perfetta concatenazione
genica (linkage). Infatti, Morgan scoprì questo fenomeno quando esaminò il comportamento dei geni legati
al sesso che aveva trovato. Per esempio, sebbene white e miniature si trovino entrambi sul cromosoma X,
essi rimangono concatenati nella progenie solo il 65,5% delle volta. Gli altri individui della progenie
possiedono una nuova combinazione di alleli non riscontrabile nei genitori; per questo si definiscono
individui ricombinanti. Questi individui vengono prodotti dallo scambio tra cromosomi omologhi
(cromosomi che portano gli stessi geni o gli stessi alleli degli stessi geni). Il risultato di questo meccanismo
è lo scambio di geni tra cromosomi omologhi. Nell'esempio precedente, durante la formazione delle uova
nella femmina, un cromosoma X che porta gli alleli white e miniature è andato incontro a crossing over con
un cromosoma che porta gli alleli per gli occhi rossi e per le ali normali. Poiché il fenomeno del crossing
over avvenuto tra questi due geni ha portato gli alleli white e ali normali insieme su un cromosoma e gli
alleli rosso (occhio normale) e miniature sull'altro. Dal momento che è stata creata una nuova combinazione
di alleli, possiamo chiamare questo processo ricombinazione. Morgan assunse che i geni fossero disposti in
maniera lineare lungo il cromosoma, come perle lungo un filo. Questa idea assieme alla consapevolezza
della ricombinazione, lo spinse a suggerire che più lontani si trovano due geni lungo un cromosoma e più
elevata è la probabilità che essi ricombinino. Successivamente, Sturtevant elaborò questa ipotesi per arrivare
ad affermare che esiste una relazione matematica tra la distanza che separa due geni lungo un cromosoma e
la frequenza di ricombinazione tra questi due geni. Sturtevant raccolse dati che supportavano questa tesi,
conducendo esperimenti sulla ricombinazione nei moscerini della frutta. Questo approccio ha rappresentato
il fondamento logico delle tecniche di mappatura genica in uso ancora oggi. Più semplicemente, se due loci
ricombinano con una frequenza dell'1% si dice che i geni sono separati da una distanza, sulla mappa, di un
centimorgan (dal nome dello stesso Morgan).
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Biologia molecolare
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Biologia molecolare 3. Miescher: l'acido desossiribonucleico
L'esistenza di molecole speciali in grado di portare l'informazione genetica fu postulata dai genetisti, molto
prima che questo problema fosse preso in considerazione dai chimici. Nel 1869, Friedrich Miescher scoprì
nel nucleo della cellula la presenza di una miscela di componenti che egli chiamò nucleina. Il componente
principale della nucleina è l'acido desossiribonucleico (DNA). Alla fine del XIX secolo, i chimici hanno
compreso quale fosse la struttura del DNA e di un composto a esso simile, l'acido ribonucleico (RNA). Tutti
e due sono lunghi polimeri, catene composte da piccoli composti chiamati nucleotidi. Ogni nucleotide è
composto da uno zucchero, un gruppo fosfato e una base. La catena si forma in seguito al legame tra gli
zuccheri di due basi attigue attraverso i loro gruppi fosfato. Comunque, dal momento che la teoria
cromosomica dell'ereditarietà era ormai stata accettata, i genetisti convennero che il cromosoma dovesse
essere composto di un polimero di un qualche genere.
Sostanzialmente la scelta poteva cadere sulle seguenti tre opzioni: DNA, RNA e proteine. All'inizio si pensò
proprio alle proteine in quanto strutture complesse con la loro catena è costituita da unità chiamate
amminoacidi. Gli amminoacidi legati tra loro attraverso legami peptidici, formano la catena proteica che è
così definita un polipeptide.
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Biologia molecolare 4. Avery, Griffith e altri: il Dna può portare la specificità genetica
Oswald Avery e i suoi collaboratori nel 1944 misero appunto un esperimento, eseguito precedentemente da
Federick Griffith. Quest'ultimo scienziato nel 1928 gettò le basi per determinare, appunto, che il DNA
costituisce il materiale genetico, con il suo esperimento di trasformazione del batterio pneumoccoccus, oggi
chiamato Streptococcus pneumoniae. Questi organismi nella forma selvatica sono costituiti da cellule
sferiche circondate da un involucro mucoso chiamato capsula. Le cellule formano grandi colonie lucide con
aspetto liscio (S). Queste cellule sono virulente, ossia sono in grado di causare infezioni letali se iniettate in
un topo. Un particolare ceppo mutante di S. pneumoniae ha perso la capacità di formare la capsula e forma
colonie piccole e dall'aspetto ruvido (R). Inoltre questa forma è non virulenta, in quanto non avendo la
capsula sono facilmente fagocitati dai globuli bianchi dell'organismo. La scoperta fondamentale di Griffith è
costituita dal fatto che era possibile trasformare colonie di tipo R (non virulente) esponendole a colonie di
tipo S (virulente) uccise tramite esposizione al calore. Sia le colonie S uccise al calore che le colonie R prese
singolarmente non erano in gradi di promuovere un infezione letale. Tuttavia se somministrate insieme
erano mortali. In qualche modo il tratto che conferiva la virulenza era passato dalle cellule virulenti morte a
quelle non virulenti vive. Inoltre fu scoperto che la trasformazione non è un fenomeno passeggero. Infatti,
una volta conferita la capacità a formare la capsula al ceppo non virulento e pertanto uccidere gli organismi
ospiti, questa era passata ai discendenti come carattere ereditario. In altre parole le cellule non virulente in
qualche modo acquisivano il gene per la virulenza durante la trasformazione. Questo significava che il
principio trasformante presente nei batteri uccisi con il calore era costituito probabilmente dallo stesso gene
per la virulenza.
L'ultimo tassello mancante per completare il mosaico era scoprire la natura chimica della sostanza
trasformante. A questo ci pensarono Oswald Avery, Colin MacLeod e Maclyn McCary che nel 1944
completarono il quadro. Come primo passo estrassero le proteine dall'estratto per mezzo di solventi organici
e determinarono che l'estratto era ancora in grado di trasformare. Successivamente trattarono l'estratto con
diversi enzimi. La tripsina e la chimotripsina, che digeriscono le proteine, non sortirono alcun effetto sulla
capacità trasformane, e neanche il trattamento con ribonucleasi, che degrada l'RNA. Pertanto fu escluso che
il fattore trasformante potesse essere costituito da proteine o RNA. Avery e collaboratori, d'altra parte,
scoprirono che trattando l'estratto di cellule virulenti con la deossiribonucleasi (Dnasi), enzima che degrada
il DNA, questo perdeva la capacità di trasformare i ceppi non virulenti. Questi risultati suggerirono, dunque,
che il principio trasformante fosse proprio il DNA. Per finire, nel 1952, A. D. Hershey e Martha Chase
eseguirono un esperimento che apportò ulteriori prove a favore dell'ipotesi che i geni sono composti da
DNA. Questo esperimento prevedeva l'utilizzo di un batteriofago (virus batterico) chiamato T2 che infetta il
batterio Escherichia coli. Durante l'infezione i geni del fago penetrano nella cellula ospite e inducono la
sintesi di nuove particelle virali. Essendo il fago composto solo da DNA e proteine, questi due scienziati si
chiesero se i geni risiedono nelle proteine o nel DNA. Comunque, dal momento che il DNA era la
componente maggiore che entrava nella cellula ospite era altamente probabile che contenesse i geni.
L'esperimento di Hershey e Chase si basava sulla marcatura radioattiva del DNA e delle proteine, una
marcatura distinta per ciascuna delle due molecole. Usarono infatti fosforo-32 (32P) per marcare DNA e
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Biologia molecolare zolfo-35 (35S) per marcare le proteine. Questa scelta ha un senso se si considera che il DNA è ricco di
fosforo mentre le proteine del fago non ne contengono ma invece contengono zolfo mentre il DNA ne è
privo. Hershey e Chase permisero ai fagi marcati di infettare i batteri iniettando i loro geni nella cellula
ospite. Successivamente staccarono i capsidi vuoti dei fagi dalle cellule batteriche, per mezzo di una
agitazione vigorosa, tramite un frullatore (nuova invenzione dell'epoca). Poiché sapevano che i geni
dovevano penetrare all'interno delle cellule batteriche, la loro domanda era, cosa è penetrato, il DNA
marcato con 32P o le proteine marcate con 35S? Come hanno potuto vedere si trattava di DNA. In generale,
quindi, i geni sono composti da DNA.
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Biologia molecolare 5. Garrod: l'azione dei geni
Nel 1902 Archibald Garrod notò che la alcaptonuria (una malattia che colpisce l'uomo) sembrava
comportarsi come un carattere Mendeliano di tipo recessivo. Era possibile, quindi, che la malattia fosse
causata da un gene difettoso, o mutante. Inoltre, il sintomo principale caratteristico di questa malattia era
l'accumulo di pigmenti neri nelle urine del paziente, cosa che Garrod imputò, giustamente, ad un'anormale
produzione di un composto intermedio in una determinata via biosintetica. Quindi si arrivò alla definizione
un gene mutante-un blocco metabolico. Successivamente, nel 1941, Badle e Tatum crearono numerosi
mutanti di Neurospora, nei quali il difetto interessava un singolo passaggio di un determinato pathway
biochimico e di conseguenza riguardava un singolo enzima. Furono in grado di fare questo, aggiungendo
l'intermedio che normalmente sarebbe stato sintetizzato dall'enzima difettivo e dimostrando che questo
ripristinava una crescita normale. Quindi aggirando il blocco scoprirono dove questo fosse localizzato.
Anche in questo caso, i loro esperimenti genetici dimostrarono che era un singolo gene a essere coinvolto.
Così, un gene difettoso dà luogo a un enzima difettoso. In altre parole, un gene sembrò essere responsabile
della produzione di un enzima. Questa è l'ipotesi un gene-un enzima. Negli anni successivi, però, sempre
altri scienziati dimostrarono che numerose proteine enzimatiche e strutturali sono multimeriche, cioè
contengono due o più catene polipeptidiche differenti, in cui ciascun polipeptide è codificato da un gene
differente. Per questo la definizione precedente divenne un gene-un polipeptide che successivamente grazie
agli esperimenti di Ingram diventò un gene-una catena polipeptidica. Infatti, questo scienziato, dopo aver
determinato la sequenza amminoacidica dell'emoglobina normale e di quella dei pazienti affetti da anemia
falciforme si accorse che la mutazione di un singolo gene determina la sostituzione di un singolo
amminoacido e di conseguenza, quindi, affermò che i geni determinano la struttura primaria delle proteine.
Infine, a metà degli anni '40, gli studiosi di biochimica conoscevano le strutture chimiche di DNA e RNA.
Degradando il DNA nelle sue componenti base, scoprirono che queste erano costituite da basi azotate, acido
fosforico e dallo zucchero desossiribosio. In maniera simile scoprirono che l'RNA era costituito da basi
azotate e acido fosforico più uno zucchero diverso, il ribosio. Le quattro basi azotate trovate nel DNA sono
adenina (A), citosina (C), guanina (G) e timina (T). L'RNA contiene le stesse basi, fatta eccezione per
l'uracile (U) che sostituisce la timina. Le strutture di queste basi rilevano che l'adenina e guanina sono simili
in struttura alla purina, pertanto sono dette purine. Mentre, le altre basi sono simili alla struttura delle
pirimidina, e sono dette pirimidine. Queste molecole costituiscono l'alfabeto della genetica.
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Biologia molecolare 6. La struttura del Dna
Intorno al 1953, uno degli scienziati interessati alla struttura del DNA era Linus Pauling, un chimico teorico
del California Istitute of Technology. Era già conosciuto per i suoi studi sui legami chimici e per la scoperta
dell'-elica, una caratteristica strutturale importante delle proteine. Pauling, comunque, pubblicò una struttura
a tripla elica del DNA, in cui le basi erano esposte all'esterno e le catene fosfodiesteriche all'interno.
Quest'ultime però essendo cariche negativamente tendono a respingersi. Un altro gruppo di ricerca
impegnato nella determinazione della struttura del DNA era composto da Maurice Wilkins e Rosalind
Franklin, esperti in cristallografia, del King's College di Londra. Essi stavano, infatti, utilizzando la tecnica
della diffrazione ai raggi X, per analizzare la struttura del DNA. Infine, entrarono in scena James Watson e
Francis Crick che non fecero alcun esperimento ma interpretarono i dati ottenuti dai vari gruppi di ricerca
per determinare un modello della struttura del DNA. Probabilmente il tassello più importante del mosaico fu
costituito da una fotografia del DNA ottenuta da Franklin nel 1952, mediante diffrazione ai raggi-X,
mostrata da Wilkins a James Watson durante un incontro a Londra avvenuto il 30 gennaio del 1953.
Tuttavia, nonostante questa fotografia dicesse molto riguardo la struttura del DNA, metteva in evidenza un
paradosso: il DNA era un'elica con una struttura regolare e ripetuta, ma affinché il DNA potesse assolvere la
funzione di materiale genetico doveva avere una sequenza irregolare di basi. Watson e Crick intravidero un
modo per risolvere questa contraddizione e per soddisfare le regole di Chargaff (il numero dei residui di A
deve essere uguale al numero dei residui di T, così come deve essere uguale il numero di residui G e residui
C) allo stesso tempo: il DNA era una doppia elica che presenta i gruppi zucchero-fosfato all'esterno e le basi
all'interno. Inoltre, le basi dovevano essere appaiate in modo tale che a una purina presente su un filamento
corrispondesse una pirimidina sull'altro. In questo modo l'elica risultava uniforme: non avrebbe presentato
rigonfiamenti dove fossero state appaiate due pirimidine (più grandi) e analogamente non avrebbe presentato
costrizioni dove fossero state appaiate due purine (più piccole). Pertanto Watson e Crick osservarono che
una coppia di basi costituita da adenina e timina, tenute insieme da legami idrogeno, aveva quasi la
medesima forma della coppia di basi costituita da citosina e guanina. In questo modo il DNA a doppio
filamento sarebbe risultato regolare, formato da coppie di basi di forma simile, senza tener conto della
sequenza imprevedibile dei due filamenti di DNA. La distanza fra le coppie di basi adiacenti è di 3,4 A
(angstrom) e il passo dell'elica è di circa 34 A; per ogni giro completo di elica ci sono circa 10 coppie di
basi.
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Biologia molecolare 7. Le ipotesi sulla copia del Dna
L'articolo di Watson e Crick fu pubblicato molto rapidamente per volere di Watson ma Crick voleva
includere nell'articolo anche le implicazioni biologiche. Allora, essi si accordarono su una frase che
volutamente minimizzava una delle maggiori scoperte scientifiche: “Non è sfuggito alla nostra attenzione
che la specificità nell'accoppiamento delle basi che abbiamo proposto, indica l'esistenza di un possibile
meccanismo di copia del materiale genetico”. Come provocatoriamente indica questa frase, il modello di
Watson e Crick effettivamente suggerisce l'esistenza di un meccanismo di copia del DNA. Dato, infatti, che
i due filamenti oltre ad essere antiparalleli (ciò significa che se uno presenta polarità 5'3', l'altro deve
presentare polarità 3'5') sono anche complementari, questi possono essere separati, e ciascuno può servire da
stampo per la sintesi di un nuovo filamento. Questo modello, quindi prevede, la separazione dei due
filamenti parentali, al fine di agire da stampo per la formazione dei filamenti neosintetizzati. Questo modello
è detto a replicazione semiconservativa perché ogni duplex generato possiede un filamento parentale e un
filamento neosintetizzato. Comunque, questo non è l'unico meccanismo possibile. Un altro potenziale
meccanismo è quello della replicazione conservativa, nel quale i due filamenti parentali, restano insieme, e
in qualche modo producono un'altra doppia elica figlia, con due filamenti figli completi. Un terzo possibile
meccanismo è dettato dal modello della replicazione dispersiva, nel quale il DNA viene frammentato, quindi
il nuovo e il vecchio DNA coesistono nello stesso filamento, dopo la replicazione.
Nel 1958, Matthew Meselson e Franklin Stahl hanno eseguito il noto esperimento necessario per distinguere
quale dei tre modelli fosse quello corretto. I ricercatori hanno marcato il DNA di E. coli con azoto pesante
(15N), crescendo le cellule in un terreno arricchito con questo isotopo dell'azoto. Questo processo rende il
DNA più pesante rispetto alla condizione naturale. Hanno successivamente spostato, le cellule in un terreno
di coltura ordinario, che contiene principalmente 14N, prelevando quindi le cellule in tempi diversi. Infine
hanno sottoposto il DNA a ultracentrifugazione per determinare la densità. A questo punto, se la
replicazione è conservativa, i due filamenti parentali si trovano associati, inoltre apparirà una doppia elica di
nuova sintesi. Poiché quest'ultima elica, è stata generata in presenza di azoto leggero, entrambi i filamenti
che la compongono saranno leggeri. L'elica parentale pesante/pesante (H/H) e la doppia elica figlia
leggera/leggera (L/L) sarebbero quindi separati dall'ultra centrifugazione per via della loro diversa densità.
Se la replicazione è semiconservativa, i due filamenti parentali pesanti sarebbero separati, e quindi entrambi
associati ad un filamento figlio leggero. Questa doppia elica ibrida H/L avrà una densità che è una via di
mezzo tra quella di una doppia elica H/H e di un elica naturale L/L. Questo è proprio quello che avviene:
dopo il primo ciclo di replicazione, si può notare la comparsa di una banda a metà strada tra la doppia elica
H/H e quella L/L. Questo risultato esclude la replicazione conservativa, ma è in accordo sia con l'ipotesi
semiconservativa della replicazione che con quella dispersiva. I risultati di un ulteriore ciclo di replicazione
del DNA escludono anche l'ipotesi della replicazione dispersiva; infatti, l'ipotesi prevede la produzione di un
quarto di DNA con 15N e tre quarti con 14N dopo due cicli di replicazione in terreno di crescita con azoto
leggero. L'ipotesi semiconservativa invece prevede la metà dei prodotti come H/L e l'altra metà come L/L.
In altre parole, gli ibridi H/L prodotti nel primo ciclo di replicazione, si separano ed entrambi si accoppiano
ai filamenti di DNA neosintetizzati, generando una proporzione 1:1 di doppie eliche di DNA H/L e L/L.
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Biologia molecolare Ancora, ciò è precisamente quello che accade. Quindi i risultati supportano fortemente il meccanismo
semiconservativo.
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Biologia molecolare 8. La sequenza dei componenti nucleotidici del Dna
La scoperta della doppia elica pose fine alla diatriba sul fatto che il DNA fosse la sostanza genetica primaria.
Dal momento che tutte le catene di DNA erano in grado di formare doppie eliche, l'essenza della loro
specificità genetica doveva per forza risiedere nelle sequenze lineari dei loro componenti nucleotidici.
Ovvero, in qualità di entità contenenti informazioni, le molecole di DNA dovevano essere considerate delle
parole molto lunghe, formate da un alfabeto di quattro lettere (A, G, C e T). Nonostante vi siano solo quattro
lettere, il numero di sequenze di DNA possibili (4N dove N è il numero di lettere nella sequenza), è,
comunque, straordinariamente grande, anche per le molecole di DNA più piccole. Sebbene il DNA portasse
l'informazione per disporre gli amminoacidi in sequenza, era abbastanza chiaro che la doppia elica stessa
non potesse svolgere il ruolo di stampo per la sintesi proteica. Esperimenti successivi dimostrarono, infatti,
che la sintesi proteica poteva avvenire anche in assenza di DNA. In tutte le cellule eucariotiche la sintesi
proteica avviene nel citoplasma, che risulta separato dal DNA cromosomico dalla membrana nucleare.
Doveva esistere, quindi, una seconda molecola che contenesse sia l'informazione, sia la specificità genetica
del DNA e che potesse spostarsi nel citoplasma e svolgere il ruolo di stampo per la sintesi proteica. Si
conseguenza si cominciò a considerare con attenzione la seconda classe di acidi nucleici: l'RNA. L'analisi
della struttura dell'RNA dimostra che la sua sintesi può avvenire a partire da uno stampo di DNA. Dal punto
di vista chimica, esso è molto simile al DNA. L'RNA, infatti, è una molecola lunga e non ramificata,
contenente quattro tipi di nucleotidi uniti da legami fosfodiesterici 3'5'. Solo due diversi gruppi chimici lo
distinguono dal DNA. Il primo è una modificazione nella componente glucidica, lo zucchero del DNA è il
desossiribosio mentre nell'RNA troviamo il ribosio che presenta un gruppo ossidrile -OH in più, la seconda
differenza è che l'RNA non contiene timina, ma una pirimidina molto simile: l'uracile. Nonostante queste
differenza, i poliribonucleotidi hanno lo stesso la possibilità di formare doppie eliche complementari come il
DNA, tuttavia l'RNA si trova nella cellula come molecola a singola elica.
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Biologia molecolare 9. Il dogma centrale nello studio del Dna
Nell'autunno del 1953 venne formulata l'ipotesi che il DNA cromosomico funziona da stampo per le
molecole di RNA che vengono successivamente trasportate nel citoplasma dove determinano l'ordine degli
amminoacidi all'interno delle proteine. Nel 1956, Francis Crick definì questo flusso d'informazione genetica
il dogma centrale:
Duplicazione DNA Trascrizione RNA Traduzione Proteina
Però, per scoprire il modo in cui le proteine vengono sintetizzate si dovette aspettare lo sviluppo di estratti
crudi (cell-free), in grado di eseguire tutti i passaggi necessari per la sintesi. Grazie a questo metodo Paul C.
Zamecnik e collaboratori scoprirono che gli amminoacidi vengono uniti alle molecole che oggi noi
chiamiamo RNA transfer (tRNA) da una classe di enzimi denominati amminoacilsintetasi, prima della loro
incorporazione nelle proteine. L'RNA transfer rappresenta circa il 10% di tutto l'RNA cellulare. Oggi
sappiamo che ogni tRNA si contiene una sequenza di basi adiacenti (l'anticodone) che si lega in maniera
specifica a gruppi di basi contigue (codoni) lungo lo stampo di RNA durante la sintesi proteica. Comunque,
circa l'85% dell'RNA cellulare si trova nei ribosomi e dato che il loro numero aumenta notevolmente nelle
cellule che hanno un'intensa attività di sintesi proteica, si pensò inizialmente che l'RNA ribosomiale (rRNA)
fosse lo stampo per ordinare gli amminoacidi. Tuttavia, grazie all'utilizzo di cellule infettate con il fago T4,
si scoprì che lo stampo per ordinare gli amminoacidi è l'RNA messaggero (mRNA), dato che trasporta
l'informazione del DNA ai siti ribosomiali per la sintesi proteica.
Mentre si scopriva l'RNA messaggero, i biochimici Jerard Hurwitz e Sam B. Weiss isolarono in maniera
indipendente il primo degli enzimi in grado di trascrivere l'RNA a partire da uno stampo di DNA. Questi
enzimi, chiamati RNA polimerasi, funzionano solo in presenza di DNA, che funge da stampo su cui si
formano le catene a singolo filamento di RNA. Nei batteri, lo stesso enzima produce ciascuna delle classi
maggiori di RNA (ribosomiale, transfer e messaggero), usando appropriati segmenti di DNA cromosomico
stampo.
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Biologia molecolare 10. L'importanza dei legami deboli e forti nelle interazioni fra
molecole
Le macromolecole che maggiormente interessano i biologi sono le proteine e gli acidi nucleici. Queste sono
costituite, rispettivamente, da amminoacidi e nucleotidi. In entrambi i casi, i precursori sono uniti da legami
covalenti a formare catene polipeptidiche (le proteine) e polinucleotidiche (gli acidi nucleici). I legami
covalenti sono legami forti, stabili, che nei sistemi biologici difficilmente si rompono spontaneamente.
Esistono, inoltre, legami più deboli, che sono essenziali per la vita della cellula, in parte perché possono
essere formati o eliminati in condizioni fisiologiche. Infatti, i legami deboli mediano le interazioni fra
diverse parti della stessa macromolecola, determinandone così la struttura e, quindi, la loro funzione
biologica. Perciò, sebbene una proteina sia formata da una catena lineare di amminoacidi covalentemente
legati, la sua forma e funzione sono determinate dalla struttura spaziale da essa adottata. Tale struttura è
determinata dal gran numero di legami deboli che si formano fra gli amminoacidi. Analogamente anche per i
legami non covalenti che tengono unite le due catene nucleotidiche del DNA.
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Biologia molecolare 11. Caratteristiche dei legami chimici
Un legame chimico rappresenta una forza d'attrazione che tiene uniti gli atomi. Aggregati atomici di
dimensioni definite vengono chiamati molecole. Originariamente si pensava che soltanto i legami covalenti
potessero tenere uniti gli atomi per formare le molecole; in seguito, è stato visto che le forze attrattive deboli
sono molto importanti per la formazione di complessi costituiti da più macromolecole. Per esempio, le
quattro subunità dell'emoglobina sono tenute insieme dall'azione combinata di alcuni legami deboli.
Comunque, i legami chimici possono essere definiti in modi diversi. Un'evidente caratteristica del legame è
la sua forza. I legami forti non vengono quasi mai distrutti alle temperature fisiologiche. Invece, i legami
deboli vengono rotti facilmente ed hanno una vita molto breve se il loro numero è esiguo. Questi legami
diventano stabili soltanto quando sono numerosi e disposti in gruppi ordinati. La forza di un legame, inoltre,
è inversamente proporzionale alla sua lunghezza, così che due atomi uniti da legami forti sono sempre più
vicini degli stessi atomi tenuti insieme da legami deboli. Un'altra importante caratteristica è il numero
massimo di legami che un dato atomo può formare. Questo numero è chiamato valenza. L'ossigeno, per
esempi, ha una valenza di due e non può formare più di due legami covalenti (questo non vale per i legami
di van der Waals, in cui il fattore limitante è puramente sterico). Altre due importanti caratteristiche dei
legami sono l'angolo di legame, che è l'angolo che si forma fra due legami convergenti su un singolo atomo,
e la libertà di rotazione; i legami covalenti singoli permettono una libera rotazione dei due atomi legati
mentre i legami doppi o tripli sono molto rigidi. Comunque, con l'avvento della meccanica quantistica, si
specificò che la formazione spontanea del legame fra sue atomi implica sempre il rilascio di parte
dell'energia interna, contenuta negli atomi non legati, e la sua conversione in una diversa forma di energia.
Più forte è il legame, maggiore è la quantità di energia ceduta durante la sua formazione. La formazione di
un legame fra i due atomi A e B può essere descritta come: A + B AB + energia, dove AB rappresenta i due
atomi legati. La velocità della reazione è direttamente proporzionale alla frequenza delle collisioni fra A e B.
L'unità più frequentemente utilizzata per misurare l'energia è la caloria, ma siccome questa energia di solito
è molto grande si utilizzano le kilocalorie per mole (Kcal/mol). Malgrado ciò, l'unione di atomi mediante
legami chimici non è permanente. Esistono, infatti, forze capaci di rompere questi legami: l'energia termica
è una fra le più importanti. Infatti, più una molecola si muove velocemente (e ciò può essere ottenuto
aumentando la temperatura), maggiore è la possibilità che, a causa di una collisione, un legame venga rotto.
La rottura di un legame può essere descritta dalla seguente formula: AB + energia A + B. La quantità di
energia che deve essere aggiunta per rompere un legame è esattamente pari a quella dissipata nella
formazione del legame stesso. Questa equivalenza è in accordo con la prima legge della termodinamica, che
afferma che l'energia non può essere né creata né distrutta. Quindi, in conclusione, possiamo dire che
ciascun legame è il risultato di un'azione combinata tra forze che formano e forze che rompono i legami
stessi. Quando, in un sistema chiuso, si crea un equilibrio, il numero dei legami che si formano è uguale a
quello che si rompono nello stesso periodo di tempo. La quantità dei legami che si formano potrà essere
ricavata dalla seguente formula: Keq = [AB]/[A]x[B], dove Keq è la costante di equilibrio, e le altre sono
concentrazioni.
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Biologia molecolare 12. Il concetto di energia libera
Ogni qualvolta viene modificata la quantità di atomi legati, in base ala costante di equilibrio, avviene sempre
un cambiamento dei livelli energetici del sistema. Il modo più comunemente usato per esprimere questo
cambiamento, dal punto di vista biologico, è attraverso il concetto chimico-fisico di energia libera,
rappresenta dal simbolo G, che si definisce come quell'energia in grado di compiere lavoro. La seconda
legge della termodinamica asserisce che nelle reazioni spontanee avviene sempre una diminuzione della
quantità di energia libera (il valore di G è negativo). Quando si raggiunge l'equilibrio della reazione non si
osserva più alcuna variazione di tale energia (G=0). In generale, l'energia libera che si perde per il
raggiungimento dell'equilibrio viene trasformata in calore o utilizzata per aumentare l'entropia, ossia la
quantità di disordine del sistema. Chiaramente, comunque, più forti sono i legami, e quindi maggiore è la
variazione in energia libera (G), che accompagna la loro formazione, più grande è la quantità di atomi
presenti in forma legata. Questo concetto è espresso, in modo quantitativo, dalla formula:
G = -RTlnKeq o Keq = e-G/RT
dove R è la costante universale dei gas, T è la temperatura assoluta, ln è il logaritmo (di Keq) in base e, e
Keq è la costante di equilibrio ed e è pari a 2,718.
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Biologia molecolare 13. I legami deboli nei sistemi biologici
I legami deboli più rilevanti per i sistemi biologici sono: i legami di van der Waals, i legami idrofobici, i
legami idrogeno e quelli ionici. I primi possiedono un energia (da 1 a 2 kcal/mol) solo leggermente
superiore all'energia cinetica dei movimenti termici, mentre l'energia dei legami ionici e idrogeno è
compresa fra 3 e 7 kcal/mol. Tutte le molecole sono in grado di formare legami di van der Waals, mentre i
legami idrogeno e quelli ionici possono essere formati soltanto fra molecole che sono fornite di una carica
netta (ioni), o sulle quali la carica non è uniformemente distribuita.
Comunque, tutte le interazioni deboli sono basate su attrazioni tra cariche elettriche. La separazione delle
cariche può essere permanente o temporanea. Ciò dipende dalle cariche elettriche coinvolte. Per esempio,
nella molecola di ossigeno (O:O) i due atomi condivisi hanno una distribuzione simmetrica, così che
ciascuno di essi non appare carico. Al contrario, nella molecola d'acqua (H:O:H) non vi è una distribuzione
uniforme di cariche, infatti gli elettroni sono condivisi in modo ineguale. Essi sono attratti più fortemente
dall'atomo di ossigeno, che, di conseguenza, ha una carica negativa piuttosto elevata, mentre la stessa carica
(in questo caso positiva) è posseduta dai due atomi di idrogeno. Questa situazione è definita dipolo elettrico
e le molecole con queste caratteristiche sono definite molecole polari. Le molecole non polari, invece, sono
quelle che non presentano tale caratteristica, come per esempio il metano, in cui gli atomi di carbonio e
idrogeno hanno affinità simili per gli elettroni, quindi non presentano cariche.
In generale, i legami di van der Waals sono determinati da forze di attrazione non specifiche, che si creano
quando due atomi si avvicinano l'uno all'altro. Essi sono basati sulle fluttuazioni di carica indotte dalla
vicinanza reciproca fra molecole diverse, che possono essere sia polari che non polari. Le forze di van der
Waals possono essere anche repulsive e si creano quando due molecole sono troppo vicine, in quanto
abbiamo la sovrapposizione degli elettroni del guscio più esterno.
Un legame idrogeno, invece, si forma tra un atomo di idrogeno donatore, covalentemente legato ad un altro
atomo, avente carica positiva ed un atomo di idrogeno accettore, covalentemente legato ad un altro atomo,
carico negativamente. Per esempio, gli atomi di idrogeno del gruppo amminico (-NH2) sono attratti
dall'ossigeno del gruppo carbonilico (-C=O) carico negativamente. Comunque, il legami idrogeno
biologicamente più importanti sono rappresentati da atomi di idrogeno legati ad atomi di ossigeno (O-H) o
ad atomi di azoto (N-H). In assenza di molecole d'acqua, circostanti, l'energia dei legami idrogeno è
compresa fra 3 e 7 kcal/mol, quindi, pur appartenendo alla categoria dei legami deboli, sono
sufficientemente forti, in quanto vi è una notevole differenza di carica fra atomi donatori e accettori. In ogni
caso, i legami idrogeno sono più deboli dei legami covalenti, anche se considerevolmente più forti di quelli
di van der Waals. In condizioni fisiologiche, le molecole d'acqua esistono come molecole polari H-O-H,
formando legami idrogeno molto forti fra gli atomi di idrogeno di una molecola e l'ossigeno di un'altra. In
ciascuna molecola d'acqua, l'atomo di ossigeno di una molecola può legarsi a due atomi di idrogeno
appartenenti ad altre due molecole, mentre ciascun atomo di idrogeno può legarsi ad un atomo di ossigeno di
una molecola adiacente. Questi legami formano un tetraedro, così che, sia in forma liquida che in quella
solida (ghiaccio), una singola molecola d'acqua tende ad averne altre quattro vicine. Come abbiamo detto
precedentemente, l'energia dei legami idrogeno è molto più elevata di quella delle interazioni di van der
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Biologia molecolare Waals, così che le molecole formeranno preferenzialmente legami idrogeno. Se, però, proviamo a miscelare
l'acqua con un composto che non forma legami idrogeno, come il benzene, le molecole d'acqua e quelle di
benzene si separeranno immediatamente: le molecole d'acqua formeranno legami idrogeno mentre quelle di
benzene rimarranno associate mediante interazioni di van der Waals. Invece, molecole polari, come il
glucosio, che contengono un gran numero di gruppi in grado di formare legami idrogeno, sono solubili in
acqua. Infatti, quando queste molecole si inseriscono nel reticolo formato dalle molecole d'acqua, si formano
immediatamente legami idrogeno fra le molecole organiche polari e l'acqua stessa. In generale, quindi, la
forte tendenza dell'acqua ad escludere i gruppi non polari è indicata come legame idrofobico, anche se non è
propriamente corretto in quanto viene più che altro enfatizzata l'assenza di un legame. Mentre le molecole
polari si legano all'acqua tramite legami idrofilici.
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Biologia molecolare 14. L'importanza dei legami forti nei sistemi biologici
Ogni specifica molecola è caratterizzata da una propria energia libera, che può differire in modo
significativo da quella posseduta da un'altra molecola. Questa disparità è data dal fatto che i legami
covalenti hanno diverse energie di legame. Per esempio, il legame covalente che si forma tra l'ossigeno e
l'idrogeno è significativamente più forte del legame che unisce due atomi di idrogeno e due di ossigeno. Di
conseguenza, la formazione di un legame O–H al posto di un legame O–O o di un legame H–H porta al
rilascio di energia. Quindi, una molecola formata da legami covalenti deboli possiede una maggiore quantità
di energia libera di una costituita dalla presenza di legami forti. Questo ragionamento appare sensato se si
considera che un atomo che ha formato un legame molto forte ha già speso, in questo processo, gran parte
della propria energia libera. Ne deriva che le migliori fonti di energia sono molecole caratterizzate da legami
covalenti deboli termodinamicamente instabili. A questo punto, possiamo definire con il termine energia di
attivazione quella che, durante una trasformazione molecolare, deve essere fornita per rompere il vecchio
legame covalente. La reazione chimica richiede inizialmente una collisione tra le due molecole che
reagiscono, seguita dalla formazione di un complesso molecolare transitorio, che viene definito stato
attivato. Nello stato attivato, l'immediata vicinanza delle due molecole rende i legami di entrambe più labili
e questo fa sì che l'energia necessaria per rompere un legame sia minore di quella necessaria a rompere il
medesimo legame presente su una molecola libera. Di conseguenza, nelle cellule la maggior parte delle
reazioni che coinvolgono i legami covalenti è descritta mediante la seguente equazione: (A–B) + (C–D)
(A–D) + (C–B)
L'espressione dell'azione di massa di questa reazione è: Keq = ([A–D]x[C–B ])/([A–B]x[C–D ])
In questa equazione il valore della Keq dipende dal valore di G secondo l'equazione:
G = -RTlnKeq o Keq = e-G/RT
Dato che l'energia di attivazione è generalmente tra le 20 e le 30 kcal/mol, gli stati attivati non vengono, in
pratica, mai raggiunti alle normali temperature fisiologiche. Se ne deduce che l'alta energia di attivazione
costituisce una barriera energetica che impedisce qualunque alterazione spontanea dei legami covalenti
presenti nelle cellule. A questo punto, gli enzimi sono molecole assolutamente necessarie per la vita; la loro
funzione consiste nell'accelerare la velocità delle reazioni chimiche essenziali per la cellula. In particolare,
l'energia di attivazione di specifici riarrangiamenti molecolari viene abbassata dagli enzimi a valori che
possono essere raggiunti mediante l'energia cinetica corrispondente al calore prodotto dai movimenti
molecolari. La presenza di uno specifico enzima porta all'eliminazione di questa barriera energetica che,
altrimenti, impedirebbe la rapida formazione di prodotti, caratterizzati da un contenuto minore di energia
libera. Comunque, gli enzimi non influenzano mai l'equilibrio di una reazione; si limitano semplicemente,
ad accelerare la velocità con cui l'equilibrio viene raggiunto.
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Biologia molecolare 15. I legami deboli e forti determinano la struttura delle
macromolecola: le proteine
Le proteine rivestono ruoli molto importanti nel funzionamento di una cellula. Tra le diverse classi di
proteine due assumono particolarmente rilievo: una è quella delle proteine catalitiche (enzimi), l'altra è
quella delle proteine strutturali. Gli enzimi sono catalizzatori dell'ampia varietà di reazioni chimiche che
avvengono nelle cellule. Le proteine strutturali, invece, costituiscono parte integrante di strutture cellulari,
quali membrane, pareti o componenti citoplasmatiche. Le proteine, comunque, sono polimeri costituiti da
amminoacidi legati covalentemente grazie a legami peptidici. Due amminoacidi legati tra loro costituiscono
un dipeptide, tre un tripeptide, e così via. Quando una catena peptidica comprende molti amminoacidi si
parla di polipeptide. Una proteina è costituita da uno o più polipeptidi. In generale, nelle proteine naturali si
riscontrano comunemente 20 amminoacidi e il corpo umano può sintetizzarli tutti tranne nove. Quest'ultimi
devono essere ricavati dalle proteine nella dieta e sono detti amminoacidi essenziali. Tutti gli amminoacidi,
comunque, hanno una struttura di base simile: un atomo di carbonio centrale è legato ad un atomo di
idrogeno, un gruppo amminico (-NH2) , un gruppo carbossilico (-COOH) e un gruppo di atomi chiamato
“R” che è differente in ogni amminoacido. La struttura primaria di un polipeptide si identifica nella
successione lineare degli amminoacidi che lo compongono. L'interazione tra i gruppi R dei singoli
amminoacidi in un polipeptide costringe la molecola a torcersi e a ripiegarsi nello spazio in maniera
specifica. Ciò porta alla formazione di strutture secondarie, come le -eliche e i foglietti . Una volta raggiunto
un livello stabile di struttura secondaria, la catena polipeptidica continua a ripiegarsi, tentando di formare
una molecola ancora più stabile. Questo processo di ripiegamento (folding) conduce alla struttura terziaria.
Le proteine vengono a questo punto raggruppate in due grandi categorie: fibrose e globulari. Le prime sono
insolubili in acqua e formano importanti componenti strutturali di cellule e tessuti (il collagene o la
cheratina), mentre le seconde sono solubili in acqua e agiscono come trasportatrici dei lipidi insolubili nel
sangue legandosi ad essi e rendendoli solubili. Comunque, la struttura terziaria finisce con l'esporre
particolari regioni, e/o formare solchi o tasche nella molecola che assumono importanza per l'interazione
con altre molecole. Bisogna ricordare che quando una proteina è costituita da due o più polipeptidi, e molte
proteine lo sono, si utilizza il termine struttura quaternaria. Così quando una proteine è costituita da subunità
identiche si parla di omodimero altrimenti di eterodimero.
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Biologia molecolare 16. Caratteristiche strutturali del DNA
La scoperta che il DNA è la più importante molecola nella quale risiedono tutte le informazioni genetiche,
ha immediatamente richiamato l'attenzione sulla sua struttura, la cui conoscenza poteva rilevare con quale
meccanismo il DNA porta i messaggi genetici che vengono trasmessi nel momento in cui i cromosomi si
dividono per produrre due identiche copie di se stessi.
La caratteristica più importante del DNA è quella di essere normalmente formato da due catene
polinucleotidiche, avvolte l'una all'altra nella forma a doppia elica. Per prima cosa, volendo studiare la
struttura del DNA, consideriamo la struttura del nucleotide, il costituente fondamentale di questa
macromolecola. Un nucleotide consiste di un fosfato legato ad uno zucchero, il 2'-deossiribosio (in quanto in
posizione 2' manca un gruppo ossidrilico e sono presenti due atomi di idrogeno), a cui è attaccata una base.
Lo zucchero unito alla sola base forma un nucleoside. Aggiungendo un fosfato (o più di uno) ad un
nucleoside, invece, si ottene il nucleotide. Questa molecola è prodotta, quindi, mediante la formazione di un
legame glicosidico, fra la base e lo zucchero ed un legame fosfodiesterico fra la base e l'acido fosforico. I
nucleotidi sono, a loro volta, legati l'uno all'altro in catene polinucleotidiche per mezzo dell'ossidrile
presente in posizione 3' del 2'-deossiribosio di un nucleotide ed il fosfato attaccato al carbonio 5' di un altro
nucleotide. Questo è un legame fosfodiestere (o fosfodiesterico) in cui il fosfato fra i due nucleotidi è unito
ad uno zucchero esterificato mediante l'ossidrile al 3' ed un secondo zucchero esterificato mediante
l'ossidrile in posizione 5'. Il legame fosfodiesterico crea un'impalcatura ripetitiva zucchero-fosfato, che è una
caratteristica strutturale del DNA. Al contrario, l'ordine delle basi, lungo la catena polinucleotidica è
casuale. Le basi del DNA, invece, appartengono a due differenti categorie: le purine e le pirimidine. Alle
purine appartengono l'adenina e la guanina mentre le pirimidine sono la citosina e la timina.
Ciascuna base esiste in due conformazioni tautomeriche. Gli atomi di azoto attaccati agli anelli purinici e
pirimidinici sono in forma amminica nella maggior parte dei casi e soltanto raramente assumono la
conformazione imminica. Allo stesso modo, gli atomi di ossigeno attaccati alla guanina e alla timina, sono
nella maggior parte dei casi in forma cheto e solo raramente assumono la configurazione enolica.
Comunque, nell'elica l'adenina di una catena è sempre appaiata con la timina che si trova sull'altra catena e,
parallelamente, la guanina è sempre appaiata con la citosina. I due filamenti hanno la stessa geometria nel
formare l'elica, ma le basi formano le coppie con una polarità opposta. Cioè, la base al terminale 5' di un
filamento è appaiata con la base al terminale 3' dell'altro filamento. Si dice che i due filamenti hanno un
orientazione antiparallela. Questa orientazione è una conseguenza stereochimica dell'accoppiamento A:T e
G:C. In maniera più dettagliata, una coppia G:C possiede tre legami idrogeno, poiché il gruppo esociclico
NH2 del C2 della guanina può formare un legame idrogeno con un gruppo carbonilico in posizione C2 della
citosina. Allo stesso modo, un legame idrogeno si può formare fra N1 della guanina e N3 della citosina e fra
il gruppo carbonilico in C6 della guanina con l'NH2 esociclico in C4 della citosina. I legami idrogeno fra le
basi complementari sono una caratteristica fondamentale della doppia elica, contribuendo alla stabilità
termodinamica dell'elica ed alla specificità delle coppie di basi.
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Biologia molecolare 17. I bordi del DNA
Applicando la regola della direzione delle mani, possiamo vedere che ciascuna delle catene
polinucleotidiche della doppia elica gira in senso destrogiro. Immaginiamo la nostra mano destra vicino alla
molecola del DNA, tenendo il pollice verso l'alto, parallelo all'asse longitudinale della doppia elica e le dita
che seguono i solchi dell'elica. Seguite le direzioni, lungo un filamento dell'elica, indicata dal pollice: così
facendo state scorrendo lungo l'elica nella stessa direzione indicata dalla posizione delle dita. Questo non
accade utilizzando la mano sinistra.
Il risultato del fatto che il DNA è formato da due catene che assumono la forma ad elica è che ci troviamo di
fronte ad un lungo polimero che presenta due solchi con dimensioni differenti l'uno rispetto all'altro. Quando
moltissime basi si impilano l'una sull'altra, l'angolo meno ampio che si forma fra gli zuccheri da una parte
della coppia genera il solco minore, mentre l'angolo più grande presente dall'altra parte della coppia crea il
solco maggiore. I bordi di ciascun paio di basi si affacciano nei solchi maggiore e minore creando un
sistema di donatori e accettori di legami idrogeno e superfici di van der Waals che permettono di specificare
la coppia di basi. I bordi della coppia di A:T presentano nell'ordine i seguenti gruppi chimici nel solco
maggiore: un accettore di legami idrogeno (l'N7 dell'adenina), un donatore di legami idrogeno (il gruppo
amminico sul C6 dell'adenina), un accettore di legami idrogeno (il gruppo carbonilico sul C4 della timina) e
una superficie idrofobica (il gruppo metilico sul C5 della timina). Analogamente, i bordi della coppia di basi
G:C mostrano la presenza, nel solco maggiore, dei seguenti gruppi: un accettore di legami idrogeno (l'N7
della guanina), un accettore di legami idrogeno (il gruppo carbonilico sul C6 della guanina), un donatore di
legami idrogeno (il gruppo amminico sul C4 della citosina), un idrogeno non polare (l'idrogeno in C5 della
citosina). Possiamo, quindi, pensare a queste proprietà come un codice in cui A rappresenta un accettore di
legami idrogeno, D un donatore di legami idrogeno, M un gruppo metilico ed H un idrogeno non polare. In
questo codice, ADAM posto nel solco maggiore rappresenta una coppia di basi A:T, e AADH sta per una
coppia G:C; allo stesso modo MADA rappresenta la coppia T:A mentre HDAA quella G:C. Queste
situazioni sono importanti perché permettono alle proteine di riconoscere senza ambiguità specifiche
sequenze di DNA senza che sia necessario aprire o rompere la doppia elica. Il solco minore, invece, non è
così ricco di informazioni e qualsiasi informazione possa fornire è meno utilizzabile per distinguere le
coppie di basi. La piccola dimensione del solco è meno utilizzabile per accogliere i gruppi laterali degli
amminoacidi. Le varie coppie tra le basi sono, viste dal solco minore, simili l'una all'altra. In codice abbiamo
AHA sia per le coppie A:T che per T:A e ADA sia per G:C che per C:G.
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Biologia molecolare 18. Forme A e B del Dna
I primi studi di diffrazione ai raggi X, eseguiti su soluzioni concentrate di DNA, rilevarono due tipi
differenti di struttura: le forme B ed A. La forma B, che è osservata quando il DNA si trova in una soluzione
ad altro grado di umidità, è quella che più si avvicina alla struttura fisiologica: contiene 10 paia di basi per
giro d'elica, ha un ampio solco maggiore e un solco minore più chiuso. La forma A, invece, che si ottiene da
una soluzione a più basso contenuto d'acqua, ha 11 paia di basi per giro d'elica; il suo solco maggiore è più
stretto rispetto alla forma B mentre quello minore è più aperto. La maggior parte del DNA presente nelle
cellule è nella forma B mentre la forma A si trova specialmente in corrispondenza di complessi con proteine.
Bisogna ricordare che la forma B, comunque, rappresenta una struttura ideale che differisce per alcune
caratteristiche rispetto a quella esistente in natura come ad esempio le 10,5 paia di basi per giro d'elica, e
non le 10 osservate in vitro, e la torsione delle coppie di basi purine e pirimidine che possono assumere
diverse rotazioni e possono dar luogo a diversi angoli che renderanno irregolare la doppia elica. In DNA
inoltre si riscontra anche in forma levogira. Per considerare questa conformazione bisogna considerare il
legame glicosidico che lega la base sulla posizione 1' del 2'-deossiribosio. Questo legame può presentarsi in
una delle due conformazioni chiamate sin e anti. Nella conformazione destrogira il legame glicosidico è
sempre nella posizione anti, mentre nella forma levogira, vi sono delle fondamentali ripetizioni di
dinucleotidi purine-pirimidine che presentano il legame glicosidico nella forma anti sui residui pirimidinici e
nella forma sin sui residui purinici. È questa forma sin che è responsabile dell'avvolgimento in senso
levogiro dell'elica. La forma sin presente sul residuo purinico alternata ad una forma anti-sin determina la
caratteristica conformazione a zig-zag del DNA levogiro, detto DNA Z.
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Biologia molecolare 19. La replicazione del DNA
Poiché i due filamenti della doppia elica sono tenuti assieme mediante legami (non covalenti) relativamente
deboli, possiamo aspettarci che i due filamenti possano dividersi facilmente. Infatti, la struttura della doppia
elica suggerisce che la replicazione del DNA possa avvenire appunto in questo modo. I filamenti
complementari della doppia elica possono anche essere separati quando una soluzione di DNA viene
scaldata sopra la temperatura fisiologica.(vicino a 100 °C) o posta in condizioni di elevato pH: questo
processo è conosciuto come denaturazione. Comunque la separazione dei filamenti di DNA è un processo
reversibile. Quando la temperatura della soluzione di DNA denaturato viene abbassata lentamente, i singoli
filamenti spesso incontrano quelli complementari e riformano una regolare doppia elica. La possibilità di
rinaturare filamenti di DNA complementari permette la formazione di molecole ibride artificiali
semplicemente abbassando la temperatura di una miscela di DNA denaturato provenienti da forme diverse.
Allo stesso modo possiamo formare ibridi mescolando filamenti complementari di DNA e RNA. La
denaturazione del DNA, comunque, può essere monitorata misurando l'assorbimento di raggi ultravioletti da
parte di una soluzione di DNA. Il DNA ha un massimo di assorbimento alla luce ultravioletta a 260 nm: le
basi sono le principali responsabili di questo assorbimento. Quando la temperatura di una soluzione di DNA
è portata vicino al punto di ebollizione dell'acqua, la densità ottica, assorbanza, misurata a 260 nm, aumenta
in modo considerevole. Questo fenomeno è conosciuto come ipercromicità della molecola del DNA ed è
dovuta all'impilamento delle basi che essendo schermate dagli zuccheri-fosfato dell'impalcatura della doppia
elica sono meno esposte e quindi assorbono meno luce ultravioletta. Se mettiamo in grafico l'assorbanza in
funzione della temperatura, osserviamo che l'aumento della luce assorbita avviene ad una ben determinata
temperatura seguendo un andamento sigmoidale. Il punto di flesso di questa curva è il punto di fusione o Tm
della molecola.
Come il ghiaccio, il DNA fonde e va incontro ad una transizione che lo porta da una struttura a doppia elica
altamente ordinata ad una struttura molto meno ordinata: il singolo filamento. La temperatura di fusione è
caratteristica per ciascun DNA ed è largamente determinata dal contenuto di G:C e dalla forza ionica della
soluzione. Più alta è la percentuale di coppie di basi G:C (e quindi più basso il contenuto in A:T) più alta è la
temperatura di fusione, in quanto le coppie G:C contengono tre legami idrogeno, mentre A:T solo due. Allo
stesso modo, maggiore è la concentrazione salina della soluzione, più alta è la temperatura a cui il DNA
denatura. In quanto ad alta forza ionica, le cariche negative, portate dai gruppi fosforici del DNA, sono
protette dai cationi e ciò permette di stabilizzare la doppia elica. Viceversa a bassa forza ionica le cariche
negative non sono protette e quindi la doppia elica risulta più instabile.
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Biologia molecolare 20. La topologia del DNA
Nelle molecole lineari di DNA, poiché le terminazioni sono libere, il numero di avvolgimenti di un
filamento attorno all'altro filamento può essere variato mediante la rotazione reciproca. Ma se le estremità
della molecola sono legate covalentemente l'una all'altra a formare una struttura circolare, il numero di volte
che un filamento gira attorno all'altro filamento non può cambiare. Questo DNA circolare covalentemente
chiuso viene indicato come una struttura topologicamente definita. Anche le molecole di DNA lineari
presenti nei cromosomi eucariotici sono sottoposte a costrizioni topologiche per via dell'estrema lunghezza
della molecola che viene ridotta attraverso la formazione della cromatina e l'interazione con altri componenti
cellulari. Se torniamo a considerare le proprietà topologiche dei DNA circolari covalentemente chiusi
(cccDNA), possiamo definire con il termine linking number, o numero di legame topologico, il numero di
volte che un filamento deve essere passato attraverso l'altro filamento affinché le due catene possano
separarsi l'una dall'altra. Questo parametro, il linking number è la somma di due componenti geometriche, il
twist (avvolgimento) ed il writhe (superavvolgimento). Il primo è semplicemente il numero di volte che un
filamento gira intorno all'altro filamento. Se consideriamo un cccDNA con struttura planare, cioè che giace
su un piano, il linking number è uguale al twist. In questo caso il numero di twist può essere facilmente
determinato contando il numero di volta che i due filamenti si incrociano su se stessi. Il modo in cui i due
filamenti si incrociano (twist) in una doppia elica destrogira è definito positivo: in questo caso il linking
number avrà un valore positivo. Però i cccDNA normalmente non hanno una conformazione planare, ma
presentano generalmente delle tensioni torsionali che impongono all'asse longitudinale della doppia elica di
incrociarsi su se stessa, a volte anche ripetutamente, determinando così una struttura tridimensionale. Questo
incrocio viene definito writhe. Quest'ultimo può presentarsi in due forme diverse: una, la così detta
interwound o writhe plectonemico, in cui l'asse longitudinale della doppia elica è avvolto su se stesso; l'altra
forma è un toroide o spirale in cui l'asse longitudinale è avvolto come attorno ad un cilindro e normalmente
si ha quando il DNA si avvolge attorno ad una proteina. Quindi, il numero di writhe (Wr) rappresenta il
numero di incroci dell'asse longitudinale su se stesso e/o il numero di spirali nel cccDNA. Esiste una sola
limitazione: la somma del numero di twist (Tw) e del numero di writhe (Wr) deve essere sempre uguale al
linking number (Lk): Lk = Tw + Wr. Ad esempio, se consideriamo un cccDNA privo di superavvolgimenti
(che abbiamo definito rilassato) il suo twist corrisponde a quello del DNA in forma B in condizioni
fisiologiche (circa 10,5 paia di basi per giro d'elica). Il linking number (Lk) di questo DNA è indicato dal
simbolo Lk0. Lk0 per questo DNA è pari al numero delle paia di basi contenute nel DNA diviso 10,5. Per un
cccDNA di 10500 paia di basi Lk sarà uguale a +1000 (il segno è positivo poiché il DNA è avvolto in senso
destrogiro). Gli eventuali superavvolgimenti presenti su un cccDNA non rilassato, invece, possono essere
rimossi con l'enzima Dnasi I, che idrolizza uno, o pochi, legami fosfodiesterici in ciascuna molecola. Una
volta che il DNA è stato interrotto, ovvero si forma un nick (per nick si intende l'interruzione di un legame
fosfodiesterico su un solo filamento della doppia elica) esso non è più topologicamente costretto e i due
filamenti possono liberamente ruotare l'uno rispetto all'altro. Se il nick viene riparato, il cccDNA sarà
rilassato ed avrà un Lk uguale a Lk0. La quantità di superavvolgimenti di un cccDNA è come la differenza
esistente fra Lk e Lk0: questa differenza viene chiamata differenza linking: lk = Lk – Lk0. Se il lk di un
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Biologia molecolare cccDNA è diverso da zero la molecola è sottoposta a torsione e quindi si presenta superavvolta, se è minore
si zero è superavvolto negativamente se invece è maggiore di zero la molecola è superavvolta positivamente.
Poiché, però, lk e Lk0 sono dipendenti dalla lunghezza del DNA, è più semplice esprimere il
superavvolgimento della molecola come densità di superelica a cui viene assegnato il simbolo ed è definita
come: = lk/Lk0. Le molecole di DNA circolare sia batteriche che eucariotiche sono normalmente
superavvolte negativamente con un valore di di circa -0,06. In questo modo, nei DNA superavvolti la
separazione dei due filamenti è più favorita piuttosto che nel DNA rilassato.
Il DNA nel nucleo delle cellule eucariotiche è compattato in piccole particelle conosciute come nucleosomi
in cui la doppia elica è avvolta per circa due giri attorno ad un nucleo proteico. Questo tipo di avvolgimento
non è altro, dal punto di vista geometrico, che un toroide o spirale che si avvolge con un andamento
levogiro. Il linking number di questi superavvolgimenti può essere cambiato solamente provocando una
interruzione dei legami fosfodiesterici di almeno una delle due catene del DNA. Una categoria di enzimi,
conosciuti come topoisomerasi, sono in grado di introdurre una rottura del singolo o del doppio filamento
del DNA in modo temporaneo. Le topoisomerasi appartengono a due classi principali: le topoisomerasi II
permettono di cambiare il numero di legami di due unità per volta determinando una rottura temporanea dei
due filamenti del DNA attraverso la quale può passare un tratto di elica integra, prima che il taglio venga
risaldato. Le topoisomerasi I, invece, permettono di cambiare il numero di legame di un'unità per volta. Esse
producono una rottura a singolo filamento della doppia elica, permettendo in questo modo al filamento
integro di passare attraverso la rottura dell'altro prima che il nick venga eliminato. Il taglio della molecola di
DNA avviene quando un residuo di tirosina presente nel sito catalitico dell'enzima attacca un legame
fosfodiesterico dell'impalcatura della molecola di DNA bersaglio. Questo attacco causa una rottura del DNA
in seguito alla formazione di un legame covalente tra la topoisomerasi e un terminale fosfato del nick e la
tirosina. L'altra estremità del nick, che termina con un gruppo OH, è tenuta molto saldamente dall'enzima. Il
legame fosfo-tirosina conserva l'energia che viene liberata dall'idrolisi del legame fosfodiesterico. Di
conseguenza, il DNA può essere risaldato semplicemente tornando indietro nella reazione: il gruppo OH
esistente al terminale del nick attacca il legame fosfo-tirosina riformando il legame fosfodiesterico del DNA.
In maniera più dettagliata, dopo aver effettuato il taglio, la topoisomerasi è sottoposta ad un grande
cambiamento strutturale che crea un'apertura sul filamento tagliato, con l'enzima che si pone a ponte
sull'interruzione. Il secondo filamento di DNA non tagliato passa quindi attraverso l'apertura e si lega ad un
sito interno simile ad un incavo della proteina. Avvenuto il passaggio, si ha un secondo cambiamento di
struttura a carico del complesso topoisomerasi-DNA che porta indietro le estremità del filamento interrotto.
La saldatura del filamento avviene, come dicevo prima, con l'intervento del gruppo OH sul legame fosfo-
tirosina. Dopo questa reazione, l'enzima può aprirsi un'ultima volta per rilasciare il DNA. Comunque, sia i
procarioti che gli eucarioti posseggono topoisomerasi I e II che sono in grado di rimuovere i
superavvolgimenti presenti sulle molecole di DNA. In aggiunta, però, i procarioti posseggono una speciale
topoisomerasi II conosciuta come DNA girasi che introduce, invece di rimuovere, superavvolgimenti
negativi. La DNA girasi è responsabile del superavvolgimento negativo dei cromosomi dei procarioti.
Le molecole di DNA circolari covalentemente chiuso aventi la stessa lunghezza ma linking number
differente sono chiamate topoisomeri. Anche se i topoisomeri hanno la stessa grandezza molecolare possono
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Biologia molecolare essere separati l'uno dall'altro per elettroforesi su gel di agarosio. La base di questa separazione è che più
elevato è il numero di writhe più compatta è la struttura del cccDNA. Ma più compattata è la molecola, più
veloce è la sua migrazione attraverso la matrice del gel. Di conseguenza, un cccDNA completamente
rilassato migra molto più lentamente di un suo topoisomero fortemente superavvolto. Un altro metodo per
visualizzare il DNA superavvolto è l'utilizzo dell'etidio, un catione formato da più anelli aromatici che
avendo una struttura planare riesce a scivolare e intercalarsi tra le coppie di basi impilate l'una sull'altra del
DNA. Poiché esso è fluorescente quando esposto alla luce ultravioletta, l'etidio viene utilizzato come
colorante per per visualizzare il DNA. Quando, però, lo ione etidio si intercala fra due coppie di basi, causa
al DNA uno srotolamento della doppia elica di 26° riducendo di conseguenza il twist. Quindi, in un DNA
circolare diminuendo il twist automaticamente si aumenterà il writhe, poiché il linking number non cambia
(Lk = Tw + Wr). In altre parole, all'aggiunta dell'intercalante avremo un DNA più rilassato. Se la quantità di
etidio aumenta, il numero di superavvolgimenti potrà raggiungere lo zero; aumentando ancora la quantità di
etidio Wr diventerà maggiore di zero ed il DNA conseguentemente diventerà superavvolto positivamente.
Naturalmente l'etidio modificherà anche, come ben si può capire, la migrazione elettroforetica.
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Biologia molecolare 21. La struttura dell' RNA
L'RNA differisce dal DNA per tre caratteristiche: (1) l'impalcatura fondamentale contiene ribosio invece del
2'-deossiribosio. Il ribosio ha un gruppo ossidrilico in posizione 2'; (2) secondo, l'RNA contiene uracile al
posto della timina. L'uracile ha la stessa struttura con un singolo anello aromatico come la timina ma manca
del gruppo metilico in posizione 5; (3) terzo, l'RNA è normalmente una singola catena polinucleotidica ed
eccetto il caso di alcuni virus, esso non rappresenta il materiale genetico e non viene utilizzato come stampo
per la sua propria replicazione, come accade per il DNA: Comunque, nonostante, l'RNA sia un singolo
filamento, spesso può presentare dei tratti a doppia elica. Questo dipende dal fatto che questo polimero
molto spesso si ripiega su se stesso per formare coppie d basi fra sequenze complementari. Se i due tratti di
sequenze complementari si trovano vicine l'una all'altra, l'RNA può assumere una delle varie strutture a
stem-loop in cui la parte di polimero non complementare che si trova in mezzo ai due tratti complementari
sporge fuori dalla zona a doppia elica, formando struttura a “forcina per capelli”, a “gemma”, ad “ansa
semplice” (loop). La stabilità di queste strutture viene in alcuni casi aumentata da speciali proprietà del loop
come, per esempio, la presenza della sequenza UUCG. Inoltre, un'ulteriore caratteristica dell'RNA è la sua
propensione a formare strutture a doppia elica utilizzando un appaiamento delle basi diverso da quello di
Watson e Crick: per esempio, la coppia G:U, tenuta insieme da due legami idrogeno. Questa eccezione
permette all'RNA di formare doppie eliche intramolecolari, anche se normalmente non sono molto lunghe.
Quindi, non dovendo formare lunghe eliche regolari, l'RNA è libero di ripiegarsi nelle più diverse strutture
terziare. Ciò può avvenire poiché l'RNA ha la possibilità di ruotare molto facilmente attorno ai legami
fosfodiesterici dei tratti che non formano doppia elica. Un'ultima caratteristica dell'RNA è la sua attività
enzimatica. Questi RNA sono conosciuti come ribozimi e posseggono molte delle caratteristiche degli
enzimi rappresentati da proteine, come il sito attivo e il sito di legame per il substrato. Uno dei primi
ribozimi ad essere scoperto è stata la RNAsi P, una ribonucleasi coinvolta nella formazione dei tRNA a
partire da precursori di RNA di grandezza superiore rispetto alla molecola matura. La RNAsi P è composta
sia da RNA che da proteine: in questo complesso nucleoproteico, comunque, l'attività catalitica risiede
sull'RNA. Infatti, la parte dell'enzima rappresentata dall'RNA è in grado di catalizzare il taglio del tRNA
precursore anche in assenza della parte proteica. Altri ribozimi possono catalizzare reazioni di trans-
esterificazione coinvolte nella rimozione di sequenza conosciute come introni da alcuni precursori di
mRNA, tRNA e di RNA ribosomiali mediante un processo conosciuto come splicing dell'RNA.
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Biologia molecolare 22. Metodi di solubilizzazione
La cellula vivente è un'entità straordinariamente complicata, che produce migliaia di macromolecole e che
ospita un genoma che può variare da milioni a miliardi di paia di basi. La comprensione del funzionamento
dei processi genetici della cellula richiede approcci sperimentali potenti ed integrati, incluso l'uso di
organismi modello adatti, in cui sia possibile fare uso dell'analisi genetica. Tali approcci includono anche
metodi per la separazione di singole macromolecole dalle miscele cellulari e la dissezione del genoma in
frammenti sufficientemente piccoli da essere manipolati ed analizzati a livello di sequenze di DNA
specifiche. Comunque, in generale, ogni molecola, sia essa proteina, acido nucleico o carboidrati, può essere
separata dalle altre molecole in base alle differenze di qualche caratteristica fisica. La prima tappa del
procedimento di isolamento di una proteina o di qualsiasi altra molecola biologica è quella di portarla in
soluzione. In alcuni casi, come per le proteine del siero sanguigno, la natura ha già svolto per noi questo
lavoro. La maggior parte delle proteine deve però essere liberata dalle cellule che la contiene. Se la proteina
che ci interessa è localizzata nel citoplasma della cellula, la sua liberazione richiede soltanto l'apertura (lisi)
della cellula. Il metodo più semplice e meno traumatico per ottenere ciò è quello noto come lisi osmotica, in
cui la cellula viene posta in una soluzione ipotonica, cioè in una soluzione in cui la concentrazione totale dei
soluti è più bassa di quella presente nella cellula in condizioni fisiologiche. Sotto l'influenza della forza
osmotica, l'acqua diffonde nella soluzione intracellulare più concentrata, causando il rigonfiamento e
l'esplosione della cellula stessa. Questo metodo è particolarmente idoneo per le cellule di origine animale,
ma è inefficace con le cellule che possiedono parete cellulare come i batteri e le cellule vegetali. In questi
casi è più efficace l'uso di un enzima come il lisozima che degrada chimicamente la parete cellulare dei
batteri. Per altri tipi cellulari, invece, vi è bisogno di una sorta di distruzione meccanica. Questi trattamenti
comprendono la macinazione in presenza di sabbia o di allumina, di una pressa oppure di della sonicazione,
con cui le cellule vengono rotte dalle vibrazioni ultrasoniche. Una volta che le cellule sono state rotte, il
lisato grezzo può essere filtrato o centrifugato per allontanare le parti di cellule ancora intatte, lasciando
quindi la proteina che ci interessa nel sopranatante. Se questa proteina è una componente di struttura
subcellulare come la membrana o i mitocondri, è possibile ottenere un notevole grado di purificazione della
proteina in esame separando per prima cosa la struttura subcellulare da tutto il materiale cellulare. Ciò può
essere effettuato mediante la centrifugazione differenziale, un processo un cui il lisato cellulare viene
centrifugato ad una velocità che determina la sedimentazione soltanto dei componenti cellulari più densi,
seguita da una seconda centrifugazione che sedimenta gli organelli meno densi. Esistono vari tipi di
centrifughe ma i più comuni sono ad angolo fisso o quelle basculanti. A questo punto nel caso la proteina sia
saldamente legata alla membrana viene solubilizzata, dal componente cellulare purificato mediante
detergenti o con solventi organici, come il butanolo e il glicerolo, che solubilizzano i lipidi. Un altro modo
per separare le macromolecole in base al loro peso molecolare è quello della stratificazione, in cui il
materiale da analizzare viene caricato sopra un gradiente di un sale o di saccarosio. In questo modo, dopo un
ciclo di centrifugazione, il campione par arrivare in fondo alla provetta passerà attraverso un gradiente di
concentrazione e si stratificherà. Quindi le componenti più pesanti si troveranno in basso e quelle più
leggere in alto. Se poi buchiamo il fondo, vedremo uscire prima le componenti con peso molecolare
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Biologia molecolare maggiore e così via, fino a quelle più leggere. Per esempio, quando vogliamo estrarre del DNA batterico, per
prima cosa facciamo crescere i batteri in un brodo di coltura per poi romperle con una lisi, ad esempio, con
NaOH. A questo punto per prelevare solo il DNA e separarlo dai contaminanti (RNA e proteine) o
utilizziamo molecole come l'RNAsi per degradare l'RNA e altre molecole per le proteine oppure, il metodo
più usato, è l'estrazione con fenolo. Il fenolo è un solvente apolare che non essendo solubile in acqua, in
provetta va a formare, essendo più denso, una fase in cui le proteine, essendo costituite sia da amminoacidi
polari che apolari, si stratificano tra il fenolo e l'acqua, esponendo le parti apolari verso il fenolo e quelle
polari verso l'acqua. In questo modo prelevando solo lo strato acquoso avremo solo l'RNA e il DNA. Se, poi,
aggiungiamo l'etanolo, il DNA precipita sempre dopo centrifugazione. Aspetteremo che l'etanolo evapora,
per avere solo il DNA batterico.
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Biologia molecolare 23. Separazione di proteine
Nel 1903, il botanico russo Mikhail Tswett ha descritto la separazione dei pigmenti delle foglie delle piante
in soluzione mediante l'uso di assorbenti solidi. Egli chiamo questo processo cromatografia. I moderni
metodi di separazione usano tutti procedimenti cromatografici. In tutti questi sistemi, la miscela di sostanze
che deve essere frazionata viene disciolta in un fluido liquido o gassoso chiamato fase mobile. La soluzione
viene poi percolata attraverso una colonna costituita da una matrice porosa solida che in alcuni tipi di
cromatografia può avere un liquido legato a sé, e che viene chiamata fase stazionaria. Le interazioni che si
generano tra ogni singolo soluto e la fase stazionaria tendono a ritardare il passaggio del soluto attraverso la
matrice solida in un modo che rispecchia le proprietà del soluto stesso. I vari metodi cromatografici vengono
classificati sulla base delle proprietà delle loro fasi mobili e stazionarie. Per esempio, nella cromatografia
gas-liquido, la fase mobile e stazionaria sono rispettivamente un gas e un liquido, mentre nella
cromatografia liquido-liquido esse sono liquidi non-miscibili, uno dei quali è legato ad un supporto solido
inerte. I metodi cromatografici possono essere classificati anche sulla base delle interazioni principali che si
generano tra la fase stazionaria e le sostanze che devono essere separate. Per esempio, se le forze ritardanti
hanno un carattere ionico, la tecnica di separazione viene detta cromatografia a scambio ionico, mentre, se il
ritardo è dovuto ad un assorbimento del soluto sulla fase stazionaria, la tecnica viene detta cromatografia per
assorbimento.
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Biologia molecolare 24. Cromatografia a scambio ionico
Nel processo di scambio ionico, gli ioni che sono legati alla matrice insolubile e chimicamente inerti
vengono rimpiazzati reversibilmente dagli ioni presenti nella soluzione:
R+A- + B- R+B- + A-
R+ rappresenta uno scambiatore di anioni che può legare sia A- che B-, gli anioni in soluzione. Gli
scambiatori cationici hanno un comportamento simile, ma hanno cariche negative e legano reversibilmente
cationi. I polianioni ed i policationi si legano quindi rispettivamente a scambiatori di anioni e a scambiatori
di cationi. Le proteine e altri polielettroliti (polimeri poliionici) che contengono gruppi carichi, sia
positivamente che negativamente, si possono legare a scambiatori di cationi o a scambiatori di anioni a
seconda della loro carica netta. L'affinità con cui un dato polielettrolita si lega ad uno scambiatore ionico
dipende dalle sue caratteristiche e dalle concentrazioni di altri ioni in soluzione che possono competere con i
siti di legame del polielettrolita allo scambiatore. L'affinità di legame del polielettrolita che ha gruppi acidi e
basici dipende anche dal pH in quanto la carica di questi gruppi varia con il pH. In questo modo, le proteine
che non si legano in queste condizioni allo scambiatore, possono essere allontanata lavando lo scambiatore
con il tampone in cui era stata disciolta la miscela di proteine. La proteina da purificare può essere staccata
successivamente dallo scambiatore ionico con un tampone avente un pH o una concentrazione salina che
riduca l'affinità di legame di questa proteina per lo scambiatore. L'efficienza di questo metodo di
purificazione può essere aumentata se lo scambiatore ionico insolubile viene posto in una colonna. Proteine
diverse si legano allo scambiatore ionico con affinità diversa. Quando la colonna viene lavata, un processo
chiamato eluzione, le proteine con un'affinità relativamente bassa per lo scambiatore ionico si muovono
lungo la colonna più velocemente delle proteine che si legano allo scambiatore ionico con un'affinità più
elevata. Questo avviene perché l'avanzare di una data proteina lungo la colonna viene ostacolata rispetto al
passaggio del solvente dalle interazioni che si generano tra la molecola proteica e lo scambiatore di ioni. Più
alta è l'affinità di legame di una proteina per lo scambiatore ionico, più essa viene ritardata sulla colonna.
Comunque i processi di purificazione possono essere migliorati se le proteina vengono staccate dalla
colonna con il metodo della eluzione con gradienti. In questo modo, la concentrazione salina o il pH della
soluzione che attraversa la colonna viene continuamente variata e le diverse proteine che sono legate allo
scambiatore ionico vengono eluite sequenzialmente. Questo procedimento porta a separazioni delle proteine
migliori di quelle che si possono ottenere con altri metodi più semplici.
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Biologia molecolare 25. Cromatografia su carta
La cromatografia su carta ha avuto un ruolo importantissimo nelle analisi biochimiche. Essa viene usata di
solito per la separazione di piccole molecole come gli amminoacidi e gli oligopeptidi. Nella cromatografia
su carta alcune gocce della soluzione contenente una miscela dei composti che devono essere separati
vengono applicate a circa 2 cm dall'estremità di una striscia di carta da filtro. Dopo aver asciugato,
quell'estremità della carta viene immersa in una miscela di solventi costituita da componenti acquosi e
organici. Il solvente si muove per capillarità lungo la carta per la natura fibrosa della carta stessa. La
direzione della migrazione del solvente può essere verso l'alto (cromatografia ascendente) o verso il basso
(cromatografia discendente). La componente acquosa del solvente si lega alla cellulosa della carta e quindi
forma con essa una fase stazionaria simile ad un gel. La componente organica del solvente continua la sia
migrazione formando la fase mobile. La velocità di migrazione delle varie sostanze che devono essere
separate dipende dalla loro solubilità relative nella fase stazionaria polare e nella fase mobile non polare. In
una singola tappa del processo di separazione, un dato soluto si distribuisce tra la fase mobile e la fase
stazionaria sulla base del suo coefficiente di partizione, una costante di equilibrio definita come:
Kp = concentrazione nella fase stazionaria / concentrazione nella fase mobile
Le molecole vengono quindi separate sulla base della loro polarità; le molecole non polari si muoveranno
più velocemente di quelle polari. Dopo che il fronte del solvente ha percorso una certa distanza, il
cromatogramma viene tolto dal solvente ed asciugato. A questo punto si analizzano i materiali separati, che
se non sono colorati possono essere individuati attraverso alcuni metodi come il marcamento con
radioisotopi o materiali fluorescenti. Una miscela complessa, che non viene completamente separata da una
singola cromatografia su carta, invece, viene spesso completamente risolta da una cromatografia su carta
bidimensionale. In questa tecnica, il cromatogramma viene eseguito come è stato descritto prima, con
l'eccezione che il campione viene depositato in un angolo del foglio di carta da filtro e il soluto viene fatto
correre parallelamente ad un lato della carta. Dopo aver completato questa fase ed asciugata la carta, il
cromatogramma viene ruotato di 90° e ripetuta la corsa cromatografica parallelamente al secondo lato della
carta usando un altro sistema di solventi. Poiché ogni composto migra ad una velocità caratteristica in un
dato sistema di solventi, la seconda fase cromatografica aumenterà fortemente la separazione della miscela
nei suoi componenti.
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Biologia molecolare 26. Cromatografia per gel filtrazione
Nella cromatografia per gel filtrazione, detta anche cromatografia ad esclusione molecolare oppure a
setaccio molecolare, le molecole vengono separate in base alle loro dimensioni ed alla loro forma. In questa
tecnica la fase stazionaria è costituita da sferette di materiale idrato, simile ad una spugna, contente pori che
possono essere attraversati soltanto da molecole con certe dimensioni. In questo modo, le molecole con
dimensioni troppo grandi saranno escluse dal volume di solvente presente all'interno dei pori. Queste
molecole grandi attraverseranno di conseguenza molto rapidamente la colonna, cioè usciranno con un
volume di eluzione minore di quello delle molecole che invece entrano nei pori.
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Biologia molecolare